I missionari e le notizie di serie B dall’Africa

ROMA - Fu Willy Brandt, cancelliere tedesco e premio Nobel per la pace nel '71, il primo a dividere il mondo in “nord” e “sud”, raggruppando in quest'ultimo le aree caratterizzate da minore sviluppo socioeconomico. A queste aree, ai molti paesi di Africa, Asia e Sud America che ne fanno parte, alla complessità delle storie collettive e individuali dei moltissimi popoli che le abitano, si dedica da anni il giornalismo missionario. Quella delle riviste, delle agenzie e degli altri media missionari è un'informazione “alternativa” e parallela a quella dei grandi media, la cosiddetta stampa laica. Una quarantina di riviste che interessano in Italia 650000 lettori (senza contare quelli dei siti web) ma che soprattutto, al di là dei numeri, svolgono un ruolo importante nel panorama del giornalismo italiano. A questo mondo, fra l'altro, è stato dedicato un incontro nell'ambito del recente festival internazionale del giornalismo di Perugia, un'occasione per fare il punto della situazione e farsi conoscere anche al di fuori della cerchia dei soliti affezionati, sgombrando il campo da equivoci e pregiudizi.

Innanzi tutto l'etichetta: giornalismo missionario e, di conseguenza, cattolico. Queste riviste (così come gli altri media) nascono in seno e restano legate alle congregazioni religiose, che ne detengono la proprietà e ne definiscono la linea editoriale, ma sarebbe un imperdonabile errore identificarle come riviste di teologia o catechesi. In esse lavorano gomito a gomito religiosi e laici, uniti da un comune intento professionale; se anni fa l'obiettivo era principalmente quello di stimolare e organizzare una raccolta di fondi da destinare alle missioni, oggi è primaria l'esigenza di fornire un'informazione attenta, continuativa e approfondita su temi troppo spesso ignorati dalla stampa tradizionale. «In Italia – precisa Stefano Femminis, direttore dell mensile gesuita Popoli (www.popoli.info) – le notizie sul sud del mondo costituiscono il 6% di quanto riportano i telegiornali nazionali. L'informazione sulla vita di Carla Bruni occupa quattro volte lo spazio dedicato a raccontare ciò che avviene in Darfur. E la coppia Gregoracci-Briatore fa parlare di sé in un'estate quanto lo Zimbawe in un anno ». Femminis cita i dati dell'Osservatorio di Pavia, che dal 1994 svolge ricerche e analisi sul mondo della comunicazione. Un recente documento redatto da Medici Senza Frontiere in collaborazione con l'Osservatorio stesso raccoglie i dati sulle crisi umanitarie dimenticate che trovano poco o nullo spazio nei media tradizionali. Notizie di serie B, recuperate di tanto in tanto per riempire gli spazi bianchi nei quotidiani o per gonfiare il minutaggio dei telegiornali.

«Una volta accompagnai un reporter in Sudan, nel pieno di una situazione difficile e, giornalisticamente parlando, interessantissima. Eravamo a una settimana dai mondiali di calcio e il direttore della testata raccomandò all'inviato di spedire il proprio reportage al più presto, perché durante la kermesse sportiva non ci sarebbe più stato spazio per l'Africa. » A parlare è Renato Kizito Sesana, missionario comboniano e direttore del mensile Nigrizia (www.nigrizia.it); in Africa ha passato oltre trent'anni (molti dei quali in Kenia) della sua vita, fondando la rivista anglofona New People (poi divenuta New People Media Center, con sede a Nairobi), la webzine News from Africa (www.newsfromafrica.org) e l'organizzazione non governativa Africa Peace Point, presente anche su internet con un portale (app.africapeacepoint.org). In tutte le sue iniziative, Padre Kizito Sesana ha sempre coinvolto innanzi tutto le persone con le quali entrava in contatto, iniziando molti giovani africani alla professione del giornalismo e fondando il primo settimanale prodotto in una baraccopoli. «Io non mi sento un giornalista: sono per prima cosa un missionario, una persona che ha il compito di annunciare un messaggio non suo, ma di Qualcun Altro. Vivendo in Africa mi trovo poi nella posizione di poter capire e raccontare meglio alcune vicende di cui sono testimone.»

Il punto di vista “interno”, vicino al cuore dei problemi, è uno dei punti di forza della stampa missionaria. I missionari vivono sul posto, conoscono la cultura e parlano le lingue locali, sono in contatto con le persone e ne comprendono necessità, speranze e paure assai meglio dei colleghi inviati della stampa laica. Questi aspetti costituiscono la premessa per poter fornire un'informazione tempestiva, affidabile e continuativa. Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) e fondatore di AsiaNews (prima su carta, successivamente online: www.asianews.it), ricorda come proprio la sua agenzia di stampa sia stata fra le prime a rendere conto dell'effettivo, catastrofico impatto dello tsunami del 2004, grazie a una fitta rete di corrispondenti locali.

Il rapporto privilegiato con i luoghi e con i popoli pone i missionari non solo in condizione di stare “sulla notizia”, ma anche di cogliere dettagli che inevitabilmente sfuggono a un'indagine grossolana e frettolosa; pensiamo al continente africano, spesso percepito come un unico luogo indistinto ed arbitrariamente privato della complessità che gli è propria.

«Si è molto parlato, di recente, del viaggio del Papa “in Africa”. Non è del tutto esatto: il Santo Padre si è recato in Camerun e Angola, che sono due paesi distinti abitati da popoli diversi. Mescolare e semplificare la realtà equivale a falsarla; un errore che genera ignoranza e che, spostandoci verso il tema dell'immigrazione, alimenta i pregiudizi nei confronti degli stranieri, specie quelli provenienti dal sud del mondo.». Padre Giuseppe Caramazza, comboniano con un'esperienza in Africa quasi ventennale, ha le idee piuttosto chiare sul ruolo del giornalismo missionario: «Non solo trasmettere le notizie di cui non si parla mai, ma aiutare gli italiani a metterle in relazione con le storie, le culture, le individualità. Aiutare i lettori, così come i giornalisti a contestualizzare gli eventi. In altre parole, rendere il sud del mondo meno lontano». Al giornalismo Padre Caramazza ha dedicato dieci anni della sua attività di missionario, lavorando al già citato magazine New People e avvicinando forze locali alla pratica giornalistica. Sulla stessa linea si colloca Padre Cervellera: «Asia news cerca di far dialogare Occidente e Oriente. Cerchiamo di colmare i vuoti informativi, ponendo l'accento sui popoli, sulle persone. Per esempio, accanto agli indici delle borse, riportiamo anche i dati sulla disoccupazione. ». Attraverso una piattaforma multilingue, Asia news propone un doppio binario informativo: da un lato promuove una conoscenza dell'Oriente non più e non solo come meta di vacanze esotiche; dall'altro offre alle popolazioni di paesi in cui non c'è libertà di informazione uno strumento per superare la censura. Sebbene le pagine web in Cina siano filtrate, qualcosa del mondo esterno Asia news riesce a farlo passare, ed è l'agenzia più citata dai siti cattolici cinesi. La censura, il controllo e la mancanza di libertà sono problemi diffusi in molti paesi nei quali operano i missionari. La chiesa malese vive sotto una continua pressione e spesso affida proprio all'agenzia di Padre Cervellera le notizie da pubblicare e diffondere. Per non parlare della complessa situazione tibetana. In Zimbawe e in Eritrea, spostandoci nel continente africano, la libertà di stampa è stata repressa, il giornalismo annientato. La denuncia e l'informazione sono rimaste affidate a internet e ai blogger.

Già, internet. Anche nell'ambito del giornalismo missionario e dell'informazione da e verso il sud del mondo la rete gioca un ruolo fondamentale. Se in vaste zone dell'Asia le nuove tecnologie sono all'avanguardia, e i filtri dei governi sono spesso aggirati dagli utenti attraverso espedienti informatici (i cosiddetti “proxy”, tramite i quali ci si riesce a collegare ai siti di informazione censurati), in Africa l'uso del web si sta diffondendo con sorprendente rapidità. In Sud America, poi, l'accesso a internet ha toccato proprio lo scorso anno livelli record. Ciò non ostante, anche mezzi di comunicazione meno innovativi continuano a giocare un ruolo decisivo: nelle aree rurali del Sud Africa, laddove l'influsso della televisione, di internet e della carta stampata (per via della scarsa alfabetizzazione) stenta a farsi sentire, è la radio a portare le notizie.

«Il 94% dei sudafricani ascolta la radio - ci dice Emil Blaser, domenicano che a Johannesburg ha fondato la cattolica Radio Veritas (http://radioveritas.co.za). - Il nostro lavoro deve servire ad aiutare la gente ad essere libera, a formarsi un'opinione consapevole. Per citare une sempio attuale: se al Dalai Lama viene negato il visto per partecipare alla conferenza sulla pace, noi dobbiamo dire che ciò è avvenuto a causa degli interessi economici che legano il Sud Africa alla Cina».

L'impegno, nelle due direzioni dell'informazione, accomuna tutti i protagonisti del giornalismo missionario. Raccontare storie, trasmettere notizie, accendere la curiosità e la consapevolezza, formare le coscienze. Attraverso l'applicazione dei principi del buon giornalismo, direttori e reporter svolgono non solo un utile servizio sociale, ma realizzano anche la propria missione spirituale. Ma anche il giornalismo missionario, pur benemerito per la capacità di colmare le lacune dell'informazione generalista, può e deve fare di più. «Uno degli obiettivi principali del viaggio del Papa in Camerun e Angola era quello di portare un documento fondamentale per il secondo sinodo africano, in programma per la fine dell'anno. Chi ne ha parlato? Nessuno, neppure la stampa missionaria. Se non ci facciamo carico noi di dare risalto a queste informazioni, possiamo aspettarci che lo facciano gli altri? ». Padre Kizito Sesana è critico ma traccia al contempo la strada da seguire: «Si dice che queste notizie non interessano ma è un'idea, questa, nata nella mente dei direttori dei quotidiani e dei periodici. La disponibilità e l'interesse dei lettori, del resto, vanno costruiti attraverso una informazione continuativa; l'unica che permetta di comprendere fenomeni complessi come quello che è accaduto negli ultimi anni nel Darfur».

Francesco Bianco

(da «La Discussione», 25/5/2009, p. 15)

[download]