Francesco
Bianco
(Roma Sapienza) /
till
stellino
(Heidelberg)
Sulla lingua degli avvisi pubblici
in Italia e in Germania: primi risultati
1.
Testi burocratici e avvisi pubblici
Definire la categoria degli avvisi
pubblici non è cosa da poco: questa etichetta si può
infatti applicare ad una serie piuttosto vasta ed eterogenea di
testi, dei quali sarebbe arduo trovare il minimo comun denominatore.
In questa sede consideriamo gli «avvisi al
pubblico»
(utenza o clientela) come veicoli di comunicazione pubblica: li si
può considerare quasi una sottocategoria dei testi
burocratici, per l'ampio uso che ne fanno le pubbliche
amministrazioni. Inoltre, come vedremo, anche gli altri soggetti che
influenzano la vita pubblica
dei
cittadini (aziende, esercizi
commerciali, associazioni, etc.)
e che producono avvisi pubblici ispirano il proprio comportamento
linguistico alla tradizione discorsiva burocratico-amministrativa.
Non esiste una classificazione linguistica
univoca, generalmente accettata, dei testi burocratici: Heinemann -
Viehweger parlano genericamente di «controllo dell’atto»
(Handlungssteuerung)
da parte dei testi amministrativi;
altri (come Wagner) pongono
l’accento sulla loro funzione informativa,
sul loro carattere «pubblico» (Gülich - Raible),
sull’esecuzione di un atto illocutivo con
un effetto perlocutivo (Snell-Hornby)
o sulla rielaborazione di conoscenze (Becker-Mrotzek - Scherner).
Di questo contenitore,
invero piuttosto ampio, si è scelto di studiare una parte,
escludendo dall'analisi testi appartenenti alle seguenti categorie:
-
materiale pubblicitario;
avvisi non rivolti al pubblico (p. es. affissioni ad uso interno di
un’azienda, di un ufficio, etc.);
-
insegne di esercizi commerciali;
testi avente come unica funzione quella di denominare o indicare un
referente (p. es. etichette di cibi e vini, didascalie di opere
d’arte, etc.);
-
avvisi trasmessi esclusivamente in televisione
(p. es. le trasmissioni riprenderanno
appena possibile);
testi orali (p. es. avvisi audioregistrati o letti in tempo reale e
diffusi per mezzo di altoparlanti);
Il taglio della ricerca, ha inoltre determinato l’ovvia
esclusione di tutti i testi in lingue diverse dall’italiano e
dal tedesco.
2. La comunicazione per mezzo di avvisi pubblici
Spigolando nella vasta bibliografia sulla lingua
burocratico-amministrativa, si possono individuare alcuni tratti
fondamentali della comunicazione veicolata dagli avvisi pubblici:
1)
l’avviso
pubblico è un testo di servizio, con funzione informativa e
direttiva;
2)
documenti di cui ci occupiamo sono prodotti da un soggetto
“erogatore di beni e servizi” o “regolatore della vita
pubblica” e rivolti a un “fruitore finale”.
Quest'ultimo non è un individuo o un gruppo di
individui specifici; gli avvisi pubblici si rivolgono,
piuttosto, all’intero
corpo sociale o da un suo sottogruppo (i cittadini di un comune, gli studenti di un ateneo, l'utenza di una banca etc.);
3)
la comunicazione
è asimmetrica:
emittente e ricevente non si scambiano i ruoli. Possibili forme di
“risposta” scritta sul supporto dell’avviso, a
carattere ironico o polemico, più che rivolgersi direttamente
all’estensore dell’avviso stesso, hanno come destinatari
gli altri suoi utenti: la scritta cambiatela!
sul cartello non
aprire / pericolante affisso su una
finestra rotta, produce un moto di solidarietà nello studente
che, percorrendo il corridoio di una facoltà universitaria,
prova lo stesso di sconforto che ha portato il suo collega a vergare
l’ironica protesta;
4)
linguisticamente, gli avvisi si inseriscono nel
solco di tradizioni discorsive
che mettono a disposizione dei loro estensori alcuni modelli
ricorrenti. Questi modelli (presi in prestito soprattutto dal
linguaggio giuridico) possono talora entrare in conflitto con
l’efficienza comunicativa, che è il fine ultimo
dell’avviso.
L’efficienza comunicativa è un
obiettivo difficile da raggiungere a causa delle condizioni in cui si
può trovare il destinatario di un avviso: mancanza di tempo
per soffermarsi sul testo; impossibilità a rileggere o a
prendere appunti scritti; ambiente non adatto alla lettura (distanza
dall’avviso, confusione, cattiva illuminazione etc.). Inoltre
il destinatario può essere poco motivato, poco incline alla
lettura in genere o avere una scarsa padronanza della lingua.
Per queste ragioni l’avviso pubblico deve essere sintetico e
chiaro come e più di altri testi di servizio.
3. Caratteristiche
formali e particolarità linguistiche degli avvisi pubblici
La tradizione discorsiva burocratica, il tipo di messaggio veicolato
e le condizioni di fruizione di quest’ultimo formano un
intreccio complesso che determina, in modo non sempre coerente, la
“forma” degli avvisi pubblici.
Rispetto ad altri testi
di servizio, negli avvisi assumono una maggiore importanza gli
aspetti grafici.
Dimensioni del supporto; tipo e
dimensioni del carattere; impaginazione e spaziature; contrasto fra
il colore dello sfondo e quello del testo: sono tutti elementi
fondamentali per la visibilità e la leggibilità del
messaggio. Per strutturare gerarchicamente le informazioni, dando
rilievo a certe parti rispetto alle altre, sono inoltre molto
sfruttati il grassetto, il corsivo, il maiuscolo,
il maiuscoletto, le sottolineature e l’uso di più
colori. Talora queste strategie sono combinate fra loro, con eccessi
che producono un effetto opposto a quello desiderato. Frequentemente
al messaggio verbale si accompagna quello iconografico (p. es. nelle
istruzioni o nei regolamenti, in cui gli enunciati fungono da
didascalie all’immagine).
I caratteri più propriamente linguistici di un avviso si
concentrano, ovviamente, nei settori della morfosintassi e del
lessico. Anche in questo caso, l’arco della variazione è
piuttosto ampio e legato al contenuto. Non di rado l’avviso
serve a diffondere il contenuto di altri documenti, soprattutto
giuridici o burocratici. Da questi documenti dipendono anche le
strutture linguistiche impiegate: il testo di partenza può
essere ripreso alla lettera oppure riformulato con diversi gradi di
libertà, lasciando comunque nell’avviso le tracce di una
tradizione discorsiva.
Il linguaggio telegrafico, criticabile in altri
contesti, è invece giustificato in molti avvisi: la semplicità
del messaggio e la posizione dell’avviso permettono inferenze
che sarebbero altrimenti impossibili. In generale, si tende a ridurre
al minimo l’informazione sintattica, facendo prevalere quella
lessicale. Il predicato nominale rinuncia alla copula: vietato
l’ingresso, vietato
fumare, vietato
fotografare etc. Spesso il messaggio è
costituito da sintagmi giustapposti, cui la situazione comunicativa
restituisce coerenza: leggendo non
aprire / pericolante,
affisso su una finestra, si può facilmente inferire la frase
soggiacente non aprire la finestra
poiché (essa)
è pericolante.
Tra le inferenze possibili,
ci sono quelle legate alla deissi. Rispetto ad altri tipi di testo,
di cui non è possibile prestabilire il luogo di fruizione,
l’avviso pubblico permette il ricorso a deittici spaziali:
Qui
non usare acqua per spegnere incendi.
Più difficile è il riferimento al momento
dell’enunciazione, a meno che l’affissione non sia
temporanea: Concorso in atto
/ non disturbare
ha un senso solo se l’avviso viene affisso durante lo
svolgimento della prova e prontamente rimosso al termine di
quest’ultima.
Di segno opposto al linguaggio telegrafico è
il fenomeno della nominalizzazione, tipico dello stile giuridico e
amministrativo: Non rimettere a posto il
volume dopo la sua consultazione
ma depositarlo sugli appositi carrelli; il personale provvederà
poi alla sua ricollocazione
può essere riformulato come Non
rimettere a posto il volume dopo averlo
consultato ma depositarlo sugli
appositi carrelli; il personale provvederà poi a
ricollocarlo o, meglio ancora, a
rimetterlo a posto.
In questo caso ridurre la subordinazione (o, per meglio dire, il
numero delle subordinate) non compensa lo svantaggio causato da un
enunciato meno naturale e più ambiguo (il possessivo sua potrebbe riferirsi anche al sostantivo
personale)
e non riduce il numero delle parole: non giova, cioè, alla
sintesi.
Il ricorso a forme verbali passive e impersonali è
frequente: esse spersonalizzano il messaggio, il cui emittente è
spesso non già una persona fisica, un singolo, ma piuttosto un
ente, un’azienda, una collettività di individui.
Obliterando il soggetto logico dell’azione (l’emittente),
si sposta l’attenzione sul destinatario del messaggio.
Psicologicamente, l’abuso di queste forme può generare
nel lettore un senso di smarrimento e di distanza dal soggetto che
produce l’avviso;
può inoltre degradare la qualità e l’intelligibilità
del testo: in Se si [= ricevente] ritiene
di aderire si [=
emittente] prega di compilare il
questionario fornito in sala d’aspetto.
/ Si [= emittente] ringrazia
per la collaborazione le forme
impersonali obliterano la differenza linguistica fra emittente e
destinatario, generando ambiguità.
Nelle formule di
apertura (sede privilegiata delle forme passive e impersonali), si
inserisce spesso (e, per lo più, inutilmente) un verbo
performativo che esplicita l’atto linguistico: si
informa che, si
rende noto che, si
fa presente che etc. Fortis
(p. 64) parla di «formule
di esordio con verbi fatici, tipiche delle lettere burocratiche,
degli avvisi o di certe circolari [...], con le quali si fornisce
un’inutile descrizione metalinguistica dell’atto
compiuto, anziché compierlo direttamente e semplicemente (come
se non fosse scontato che i testi in questione trasmettano
informazioni)». Nel caso del verbo pregare
o invitare
usato in apertura di testi regolativi è evidente la volontà
di attenuare il messaggio: la invito a
rispettare scrupolosamente alcune regole.
Questo tratto non favorisce la comunicazione:
allunga un testo che, per le particolari
condizioni di fruizione, dovrebbe coniugare sintesi e chiarezza;
aggiunge un livello al grado di subordinazione presente nel periodo,
complicandone la sintassi; non aggiunge nulla sul piano informativo
(per realizzare un atto linguistico è infatti sufficiente
compierlo). Si può riformulare un Si
informano i cittadini che allo sportello sarà servito soltanto
chi è provvisto di un proprio
numero come Allo
sportello sarà servito
soltanto chi è provviso di un proprio numero
senza pregiudicare, potenziando anzi l’efficacia del messaggio.
Nel linguaggio burocratico tedesco è spesso usata la formula
di apertura Es wird darauf hingewiesen,
dass… Negli avvisi si può
trovare la fomula Bitte beachten Sie,
dass…, talvolta preceduto da un
appellativo generico quale Sehr geehrte
Damen und Herren / … Fahrgäste
/ … Kunden
etc.
La presenza di stringhe testuali poco informative
colpisce anche i titoli, che potrebbero essere usati per
gerarchizzare le informazioni, per selezionare i destinatari e
indirizzarne l’attenzione sull’argomento del testo.
Raramente gli estensori sfruttano queste possibilità,
preferendo piuttosto soluzioni semanticamente “vuote”: avviso, avviso pubblico, avviso
all’utenza, avviso agli studenti.
Meno frequenti, ma assai più utili, sono i titoli che
contengono, sintetizzandola, l’informazione principale presente
nel testo: Avviso variazione orario di
segretariato sociale.
Nel lessico, come in altri testi burocratici, si
preferiscono parole ed espressioni meno comuni di altre: insudiciare
per sporcare;
negazione + alcuno
per nessuno.
Più un avviso dipende dalla tradizione del linguaggio
giuridico (p. es. nelle affissioni dei regolamenti, che possono
contenere riferimenti più o meno espliciti a testi
legislativi), più è forte la tendenza arcaizzante,
nella scelta dei vocaboli come in quella delle forme: un esempio è
la -d
eufonica dopo la congiunzione disgiuntiva o.
Nei casi peggiori si incontrano ancora esempi di ciò che Italo
Calvino, nel 1965 (p. 122), chiamò polemicamente «terrore
semantico» nei confronti delle espressioni semplici e chiare,
che ha come conseguenza l’occultamento della concreta
intenzione comunicativa.
Se è difficile individuare tecnicismi
propri della lingua burocratica in genere, è praticamente
impossibile farlo per quella degli avvisi pubblici. Ci troviamo in
presenza di una «lingua
settoriale non specialistica»,
come la definisce Sobrero (p. 237), utilizzabile per trattare (quasi)
qualsiasi argomento.
Per tale ragione, nel testo degli avvisi confluiscono spesso termini
di altri sottocodici, propri della materia di cui si occupa il
messaggio; non di rado si tratta di tecnicismi collaterali, non
funzionali all’esatta definizione di un referente (che sarebbe
possibile designare con un vocabolo comune), quanto finalizzati a
innalzare il tono del testo; a qualificarlo come specialistico; a
costruire una tradizione discorsiva nuova o a inserirsi nel solco di
una già esistente. Ritirata,
vocabolo che designa la latrina delle vetture ferroviarie, appartiene
alla tradizione degli avvisi e dei regolamenti presenti sui treni
italiani; si tratta di un vocabolo che
appartiene alla nostra competenza passiva più che a quella
attiva.
Una recente affissione informava gli
utenti di una biblioteca universitaria
circa i disagi che sarebbero stati provocati dai lavori
di pulizia straordinaria, vale
a dire la depolveratura
di libri e scaffali. Quale effetto
produce nel lettore l’uso del termine biblioteconomico
depolveratura?
Per chi lo usa, forse, esso nobilita l’umile operazione della
spolveratura,
elevandola a lavoro altamente specializzato; in chi legge, sempre il
messaggio sia correttamente decodificato,
è probabile che il vocabolo susciti un modo di sorpresa
ilarità.
Rispetto all’uso, talora improprio ed
eccessivo, dei tecnicismi, non mancano tuttavia tendenze di segno
opposto, soprattutto nei casi in cui il testo è meno vincolato
ad un “antigrafo” costituito da un atto amministrativo o
da un testo giuridico. Su un distributore automatico di biglietti,
collocato a bordo di un autobus, abbiamo trovato il semplice
biglietto
in luogo della locuzione titolo di
viaggio. Osserva Serianni (p. 129-130)
che tale locuzione è un tecnicismo necessario quando si
riferisce all’insieme di documenti che garantiscono e attestano
il diritto al trasporto pubblico (non solo biglietti ma anche
abbonamenti e carte di esenzione); diventa invece un tecnicismo
collaterale quando si riferisce al solo biglietto
(parola, fra l’altro, più precisa di titolo
di viaggio, che ne costituisce un
iperonimo).
Un altro esempio riguarda ritirata,
di cui si è già parlato: sentita come poco “viva”
nella coscienza dei parlanti, questa parola è sostituita, in
molti treni di recente costruzione o restyling,
con parole più correnti, come toilette
o WC.
All'insidia del tecnicismo collaterale non sfugge neppure la lingua
tedesca: Treppenanlagen (letteralmente
‘impianti di scale’) in luogo di Treppen
‘scale’.
Un’altra caratteristica del linguaggio degli
avvisi è la presenza di perifrasi e locuzioni. Molte perifrasi
verbali sostituiscono i verbi semplici essere
tenuto (vs dovere).
A volte, come accade di frequente nel linguaggio burocratico, un
verbo semplice è sostituito da una perifrasi V + N, in cui il
carico semantico dell’espressione è assunto dal
sostantivo, mentre il verbo ha una funzione meramente grammaticale:
[i dati personali]
non saranno sottoposti ad alcuna forma
di registrazione o conservazione vs non
saranno registrati né conservati;
è frequente anche il ricorso a locuzioni congiuntive e
preposizionali, a volte sostituibili con congiunzioni e preposizioni
semplici: in
occasione di, al
fine di. Queste locuzioni
appesantiscono, allungano e rendono meno comprensibile il testo da
parte dell’utente.
Negli avvisi è forte la presenza di sigle,
acronimi e abbreviazioni:
in alcuni casi si sintetizzano locuzioni di uso comune o presunto
tale: p.v.
per prossimo venturo;
c.m. per
corrente mese.
Frequente è inoltre il ricorso ad
acronimi che si riferiscono ai soggetti pubblici coinvolti nel
messaggio (p. es. UOSECS per
‘Unità Organizzativa
Socio-Educativa-Culturale-Sportiva’).
Il ricorso a questi strumenti viene incontro all’esigenza di
spazio; spesso tuttavia ne fa le spese la comprensibilità
dell’avviso, laddove il parlante non sia in grado di
interpretare correttamente la sigla o l’abbreviazione. Il
mancato scioglimento di una sigla produce un vantaggio (in termini di
spazio) inferiore al danno causato all’efficacia comunicativa.
Salta all’occhio la scarsa presenza di abbreviazioni e sigle in
tedesco: fra i pochi
esempi trovati segnaliamo Strafgesetzb.,
abbreviazione non ufficiale di Strafgesetzbuch
‘codice penale’.
4. Avvisi pubblici e testi legislativi
Un fattore determinante per
la forma dell’avviso pubblico in Italia è lo stretto
rapporto fra quest’ultimo e il testo legislativo. La
legislazione, spesso, non si limita a imporre la presenza di avvisi
in certi luoghi, ma ne prestabilisce anche la forma e la posizione:
l’art. 19 del Decreto del Presidente della Repubblica n°
753 dell’11 Luglio 1980 prevede che il divieto di accesso o di
sosta «in determinate aree, recinti
ed impianti» (Comma 3) ferroviari sia segnalato «con
appositi cartelli di divieto», da
apporre «previo nulla osta
dell’autorità giudiziaria competente per territorio»
(Comma 4).
Nel testo degli avvisi italiani è
particolarmente frequente il rimando esplicito alla norma che regola
la prescrizione. Nel divieto di fumo, una prima differenza tra le
consuetudini dei due paesi riguarda l’oscillazione linguistica:
rispetto alla varietà di forme usate dal tedesco per indicare
questo divieto (p. es. Rauchverbot,
Rauchen verboten,
Nicht rauchen;
nel caso di una stazione ferroviaria, Rauchfreier
Bahhof ‘stazione
senza fumo’), salta all’occhio l’onnipresenza del vietato fumare
italiano. Questa formula è presente nel testo del regolamento
attuativo del secondo comma dell’art. 51 della Legge 3 del
2003, che fornisce (tra le altre cose) indicazioni molto precise
circa la cartellonistica da apporre nei locali per i non fumatori,
richiedendo «l’indicazione della prescrizione di legge,
delle sanzioni applicabili ai contravventori e dei soggetti cui
spetta vigilare sull’osservanza del divieto e accertare le
infrazioni». Oltre
a cartelli di questo tipo, «da collocare nei luoghi di accesso
o di particolare evidenza», lo stesso regolamento sollecita
l’uso di cartelli supplementari con la semplice scritta vietato
fumare. Tutte queste informazioni, sia
nei cartelli prodotti industrialmente sia in quelli realizzati con il
computer da impiegati di ufficio, si trovano in corpo minore,
generalmente sotto la scritta contenente il divieto e la relativa
icona; citano espressamente il riferimento alla Legge 3 del 2003,
aggiungendovi l’indicazione, poco utile ai fini informativi, e successive modificazioni.
Talora il riferimento è più ampio e dettagliato e
ripercorre l’intero iter legislativo, dalla Legge 584 del 1975,
fino ai più recenti sviluppi della legislazione antifumo. Si
conserva il tono e il linguaggio del testo di legge, da cui si
riprendono interi brani, scarsamente rielaborati.
In Germania l’esplicitazione del testo legislativo è
assai più rara: l’unico caso che ci sia stato possibile
riscontrare riguarda un divieto di affissione, in cui si richiama
l’articolo 303 del codice penale, senza però citarne il
testo. È possibile che si tratti di una strategia deterrente,
mirata ad aumentare il peso, nella coscienza del destinatario, di
quello che viene solitamente ritenuto un reato minore (o un
non-reato).
Molti dei difetti imputati al linguaggio
burocratico (prolissità, arcaismi, tecnicismi collaterali)
sono caratteristiche del linguaggio giuridico.
Non ostante i passi in avanti compiuti, nel secondo decennio del XXI
secolo la tradizione culturale e discorsiva di certi uffici è
presente nella coscienza linguistica dell’estensore di avvisi
pubblici: numerosi elementi di quell’antilingua su cui
ironizzava Calvino negli anni ’60 appaiono ancora oggi in
documenti non vincolati a un testo legislativo o a un atto
amministrativo.
Anche gli avvisi esposti all'interno o all'esterno di esercizi
commerciali possono conservare questo amaro retrogusto: si
comunica alla gentile clientela che l’agenzia effettuerà
il seguente orario fino al venerdì 15 ottobre.
5. Avvisi
pubblici e linguaggio pubblicitario
Sintetizzando quanto detto finora, possiamo dire che la tradizione
discorsiva degli avvisi pubblici assomma tratti caratteristici
propri, legati alla situazione comunicativa, a tratti del linguaggio
burocratico, non sempre coerenti con le finalità perseguite
dall'avviso.
Una terza componente
(specchio forse dei tempi che cambiano) è frutto
dell'applicazione, più o meno consapevole e corretta, di
strategie discorsive tipiche del linguaggio pubblicitario. A titolo
di esempio di un fenomeno che meriterebbe un'analisi specifica, si
citano due casi: in Italia, l'allocuzione diretta al cliente/utente,
in seconda persona, presente nell'avviso alla clientela di un ufficio
postale: Se
acquisti
tra i prodotti dell'offerta Posteshop un'apparecchiatura elettrica o
elettronica, il tuo
rivenditore potrà ritirare gratuitamente il tuo
apparecchio usato equivalente e lo avvierà al recupero e
riciclo in sicurezza;
in Germania, un
cartello della Deutsche
Bahn,
che
riporta il regolamento delle ferrovie, evidenzia i vantaggi che
l'utente trarrà dal rispetto delle norme: Wir
möchten, dass sich alle Fahrgäste in unseren Zügen
wohlfühlen. / Dies erfordert ein gewisses Maß an
gegenseitiger Rücksichtnahme.
6. Conclusioni
Si è cercato di
mostrare come il linguaggio degli avvisi pubblici sia caratterizzato
da un campo di tensione tra aspetti pragmatici (finalità /
funzionalità) e tradizioni discorsive. Il linguaggio
burocratico è di gran lunga il
punto di riferimento più importante, anche se ad esso si
sovrappongono tradizioni diverse: nei prossimi anni, quella del
linguaggio pubblicitario potrebbe rinnovare il modello tradizionale
dell’avviso.
Questi elementi sono
presenti sia in Italia sia in Germania. Diverso è il modo di
mescolarli e servirsene: il legame fra testo legislativo e avviso,
fra norma giuridica e rappresentazione linguistica, è più
forte nel nostro paese e contribuisce a ridurre la distanza fra
l'avviso e testi più vincolati. In Germania il libero rapporto
col modello giuridico-burocratico è forse alla base della
minore formularità della lingua degli avvisi.
Questa libertà si manifesta anche nella disinvolta
colloquialità di certi testi, in cui è evidente il
tentativo di far leva sull'emotività del lettore.
Nel presente studio il confronto con la lingua
tedesca è servito soprattutto a delineare i caratteri
dell'avviso pubblico in Italia: i primi sondaggi, tuttavia,
suggeriscono di approfondire l'esplorazione e il confronto
sistematico fra le due lingue. Si pone tuttavia un problema di ordine
metodologico: è possibile fondare scientificamente uno studio
che metta in relazione le differenze linguistiche e quelle culturali
di due popoli? In che modo e in che misura? Le specificità
culturali delle società umane sono oggetto di studio di varie
discipline, tra cui l’antropologia culturale, la psicologia e
la sociologia. Loenhoff (p. 108) individua tre problemi principali del confronto
fra le culture: (a) la possibilità di sviluppare strumenti di analisi
indipendenti dalla cultura di un luogo specifico; (b) l’affermazione acritica
dell’omogeneità e unitarietà di una cultura; (c) l’ipotesi (idealizzante) di
coincidenza tra i confini politici, ben definiti, e quelli culturali, più
sfuggenti.
Tener conto di tali problemi può essere assai utile anche al
linguista, per non cadere nella trappola delle generalizzazioni e
delle banalizzazioni.
Ciò non significa che manchino studi
scientifici sulla specificità culturale di schemi o pattern
testuali. Warnke
(p. 243),
in una prospettiva pragmalinguistica, definisce il termine cultura
come la «Einheit einer kommunikativen Praxis bzw. des
standardisierten verbalen Handelns innerhalb nationalsprachlicher
Grenzen».
Secondo lo studioso, l’analisi
comparativa di generi testuali in due o più lingue farebbe
emergere più chiaramente la riconducibilità di diverse
realizzazioni linguistiche a fattori culturali. I prossimi passi
della nostra ricerca saranno mossi in questa direzione.
[da Atti del IX Convegno dell'Associazione per
la Storia della Lingua Italiana (Firenze, 2 - 4 dicembre 2010), a cura di A.
Nesi, in stampa]
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