Francesco
Bianco
Salvatore Boniello e gli studi dialettali
Innanzi tutto
ringrazio gli organizzatori e i famigliari di
Salvatore Boniello per avermi invitato. Confesso un po'
di imbarazzo, essendo fra i relatori di questo convegno
certamente il meno titolato; inoltre non posso dire di aver
conosciuto bene la persona che oggi ricordiamo, persona con
la quale ho parlato a lungo una sola volta nella mia vita.
Si è trattato, tuttavia, di una conversazione particolare,
che merita di essere evocata in rapporto a quanto mi
propongo di sottolineare oggi: il rapporto fra Salvatore
Boniello e la cultura accademica, in particolar modo il suo
ruolo nell'ambito degli studi sui dialetti italiani
centro-meridionali. Sotto questo aspetto il mio punto di
vista può forse essere di qualche interesse e giustificare
la mia presenza quest'oggi.
La conversazione
che ho avuto con Salvatore Boniello risale al 1997: allora
ero un giovanissimo studente di lettere e per l'esame di
dialettologia italiana avevo avuto il compito di preparare
una tesina sul dialetto di Guardia
Lombardi, paese natale di mio padre. Per la precisione,
il mio proposito era quello di realizzare un
saggio di dizionario della parlata
guardiese, redatto secondo i canoni della lessicografia
scientifica che erano oggetto del corso universitario.
Come si fa un
dizionario dialettale? Si prendono una, due o più persone
del luogo di cui si desidera investigare la parlata e le si
intervista, seguendo il canovaccio costituito da un
questionario. Non è questa la sede adatta per spiegare tutti
i dettagli dell'intervista e i successivi passaggi che
portano dall'intervista stessa al dizionario vero e proprio.
Basterà dire che Salvatore Boniello era uno dei due
"informatori" che intervistai durante l'arco di quasi tutto
il pomeriggio del 5 maggio 1997. L'altro informatore, non
meno prezioso, era Gaetano Sica.
Dalle quattro
cassette che contengono l'intervista fu possibile estrarre
non solo un glossario di 230 voci (molte di più se ne
sarebbero potute redigere, in realtà, ma si sarebbe andati
ben oltre i limiti di una tesina universitaria), ma anche i
tratti fondamentali della fonologia e della grammatica del
guardiese e uno di quelli che i dialettologi chiamano
etnotesti: un racconto più o meno spontaneo di episodi che
sono stati vissuti in prima persona dagli informatori. Quel
giorno io chiesi a Boniello e Sica di rievocare la loro
esperienza del sisma del 1980: ne venne fuori un racconto
breve ma coinvolgente e preziosissimo per il lavoro.
A fine intervista mi parve
chiarissimo che tipo di persona avevo di fronte: qualcuno
che del dialetto non era semplicemente parlante nativo, ma
appassionato studioso, vero e proprio custode. Di questo
c'erano già naturalmente prove tangibili: il
Dizionario dialettale
della lingua di Guardia Lombardi,
pubblicato nel 1994, e quel
Viaggio nella memoria,
uscito l'anno seguente (1995) e ristampato successivamente
nei primi anni Duemila; prove tangibili di un attaccamento e
di un interesse per la propria cultura, ma anche di una
capacità di raccogliere dati e organizzrli in un quadro
coerente. L'intervista del 5 maggio 1997 non fece che
confermare la testimonianza contenuta in quegli sforzi
editoriali; la riflessione di Boniello sul dialetto era un
elemento costante nelle sue risposte: ad esempio, non si
limitava a dirmi che
fegato,
in guardiese, si dice
fek'tu
['fekətu]
o
fet'ku
['fetəku]
,
ma
anche
che l'una era variante più "nobile", usata in paese, mentre
l'altra era quella della campagna. Considerazioni di questo
tipo sono preziosissime per una descrizione del dialetto "a
tutto tondo".
Ricordo inoltre la
sua costante attenzione al fatto che la registrazione
venisse bene; la solerzia nello scandire e mettere in
evidenza i suoni tipici del proprio dialetto. Attraverso
tanti piccoli dettagli manifestava interesse per il mio
lavoro, nel quale vedeva forse la prosecuzione di quella sua
opera di recupero di un patrimonio culturale. Credo di non
avergli mai fatto avere il risultato della mia ricerca ed è
una cosa che oggi mi dispiace.
Devo essere
sincero: un atteggiamento così "partecipativo" come quello
assunto da Boniello nei miei confronti in occasione
dell'intervista, non sempre aiuta il dialettologo a fare un
buon lavoro; di solito si preferiscono dei parlanti più
"puri", che si limitino a parlare dialetto fornendo
materiali grezzi e non già passati attraverso un filtro
critico qual era quello che Boniello inevitabilmente
applicava. La storia della dialettologia è piena di
interviste a braccianti, contadini, persone poco o nulla
scolarizzate, anziane e vissute in uno stato di isolamento
quasi totale. Boniello era stato un insegnante; era autore
di libri e addirittura di un'opera lessicografica. Parlare
del dialetto con lui era come visitare il Museo di Guardia
Lombardi con una guida che ti spiega l'origine e la funzione
di ogni oggetto. Era quasi impossibile acquisire un dato
"puro", senza un commento, una osservazione, una glossa.
Spesso noi
linguisti manifestiamo snobismo nei confronti degli studiosi
non accademici che si occupano del proprio dialetto; al di
là della loro affidabilità o meno come informatori, tendiamo
a diffidare di persone (ce ne sono molte, nelle diverse
realtà territoriali) che operano senza avere una formazione
universitaria in un campo che vorremmo fosse solo nostro. Li
vediamo un po' come dei concorrenti senza licenza e siamo
piuttosto restii ad attribuire alle loro opere un valore
reale.
Personalmente, non
sono di questo avviso: va detto che il Dizionario di
Boniello è un'opera con dei limiti insiti nella ricerca
condotta da un dilettante. Sarebbe inutile fornire un elenco
delle molte ragioni per cui questo dizionario non può essere
paragonato alle opere della lessicografia dialettale
"ufficiale"; opere, fra la'ltro, concepite e realizzate il
più delle volte da equipe di specialisti, mentre quella di
Boniello è la fatica di un singolo. Il valore di questo
dizionario può essere compreso riflettendo sul contesto in
cui è stato prodotto e sul pubblico cui era ed è destinato:
la comunità locale; le nuove generazioni di guardiesi, il
cui dialetto è già molto diverso da quello dei padri e dei
nonni; i forestieri che soggiornano a Guardia l'estate o a
Natale. Molti sono figli o nipoti di guardiesi, ma di quella
parlata e di quella cultura hanno perduto tutto, come può
testimoniare il sottoscritto.
Per capire il proposito
insito nelle opere di Salvatore Boniello è sufficiente
leggerne le dediche, riportate in esergo, alle nipoti
Carmencita Magnotta e Wanda Russomanno, sempre con la
speranza di poter trasmettere loro dei valori attraverso il
recupero di una cultura antica. Ancor più eloquente è forse
l'epigrafe con cui si apre il Dizionario: Ai miei
genitori che parlarono questa lingua; ai miei scolari che
l'hanno recuperata; ai miei nipoti, affinché la conservino.
Il Dizionario di Boniello
si inserisce perfettamente nel quadro di una ricerca che ha
per oggetto non solo la lingua locale in sé, ma la cultura
popolare, anche materiale, che essa serve a designare. In
tedesco si dice Wörter und Sachen
'parole e cose', capire i dialetti studiando la cultura
materiale ad essi sottesa e viceversa. Si tratta di un
indirizzo di studi della dialettologia tradizionale che sta
tornando di moda.
Il recupero della memoria
storico culturale, nel suo complesso, perché non venga
dimenticata: questo sembra essere il filo rosso che lega il
Dizionario, la raccolta dei Milleuno detti e
proverbi dialettali di Guardia Lombardi e dell'Alta Irpinia
(del 1999), il Viaggio nella memoria
e il Museo delle Tecnologie, della Cultura e della
Civiltà Contadina che
Salvatore Boniello ha voluto, fondato e diretto per anni.
Speriamo davvero che questa piccola ma importante
istituzione culturale possa portare presto il suo nome.
Se si considerano queste
iniziative i tasselli di un'opera più grande e complessa, si
possono allora davvero apprezzare i risultati dello sforzo
compiuto dal loro autore. Più chiaramente e più
autorevolmente di chi me si è espresso, quasi venti anni fa,
Tullio De Mauro: «Ho avuto più volte occasione di
sollecitare studiosi locali e insegnanti a raccogliere e
sistemare testimonianze delle parlate locali italiane». È la
prefazione al volume Baronia. Linguaggio usi e
costumi di Giuseppe
Iacoviello, ma potrebbe aprire senza difficoltà il
Dizionario guardiese. Prosegue De Mauro: «Anche di qui la
raccomandazione rivolta a cultori locali perché vincano le
esitazioni e facciano presto. Ovviamente, per certi aspetti,
sarebbe desiderabile che l'accademia scientificamente più
qualificata desse mano a un vasto piano nazionale di
rilevazione delle parlate dialettali ancora vigoreggianti.
Ma troppe esperienze dicono che queste "grandi imprese" non
hanno vita troppo felice nella nostra tradizione di studi
linguistici. E a me è parso e pare più realistico e prudente
raccomandare che chi può, perché a stretto, affettuoso
contatto con la realtà d'una parlata locale, dia mano a
raccoglierne forme e valori di cultura in opere che sono e
saranno base documentale preziosa per ulteriori indagini» (pp.
9-11). Con queste parole è un un grande linguista a
"sdoganare" opere come quella di Boniello, riconoscendone
schiettamente il valore e il ruolo di insostituibile
testimonianza.
Il valore delle ricerche di
Salvatore Boniello è stato apprezzato anche al di fuori dai
nostri confini. Mi riferisco a
Edgar Radtke, notissimo linguista e dialettologo dell'Università
di Heidelberg, in Germania.
Socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, fra i
massimi esperti di dialetti italiani centro-meridionali,
egli è autore di una importante
monografia sulle parlate campane e coordina il progetto
dell'ALCam,
l'Atlante
Linguistico della Campania.
Nel 1998, durante un soggiorno di studi in Germania, ebbi
modo di presentare il mio breve saggio sul
lessico dialettale di Guardia e di dare al prof. Radtke
una copia del Dizionario
di Boniello, che il professore già conosceva come esperto
del dialetto locale. Il suo interesse per Guardia crebbe a
tal punto da inserire questo paese nella
rete dei punti di inchiesta per l'ALCam. Gioverà
ricordare che l'Atlante Italo-svizzero
(AIS), il
primo grande atlante linguistico dell'area italofona
(pubblicato fra gli anni '20 e gli anni '60), riportava come
punto d'inchiesta della zona il solo Trevico; Guardia
Lombardi non compare neppure fra i punti di inchiesta del
più recente Atlante Linguistico Italiano
(ALI), in
fase di pubblicazione. Quello di Edgar Radtke e dell'ALCam,
se non erro, è il primo segno di interesse scientifico per
la parlata di questo piccolo paese; speriamo naturalmente
che alle parole e ai progetti seguano i fatti e che
l'Atlante, fra le mille difficoltà che le università
italiane e in parte anche quelle straniere stanno vivendo,
possa realizzarsi. Se sarà così, sarà anche per merito di
Salvatore Boniello, con cui Edgar Radtke intraprese una
corrispondenza epistolare durata alcuni anni. Posso
testimoniare personalmente che il professore avrebbe voluto
essere qui oggi ed è rammaricato per non averne la
possibilità.
Tullio De Mauro
indirettamente, Edgar Radtke direttamente, testimoniano
entrambi come lo sforzo dello studioso locale possa andare a
bracetto con quello prodotto dall'Accademia. Tenuto conto
delle inevitabili differenze, essi possono concorrere
complementarmente a un obiettivo comune, sorreggendosi a
vicenda e non entrando in reciproco contrasto.
Mi si consenta una
ulteriore riflessione, a poche settimane dalle celebrazioni
per il centocinquantenario dell'unità d'Italia. Questa
ricorrenza dovrebbe portare a riflettere, senza pregiudizi e
strumentalizzazioni, anche alla storia linguistica italiana
degli ultimi 150 anni. Ci si è provato, fra le altre
occasioni, nel recente convegno organizzato dagli storici
della lingua italiana a Firenze.
Fatta l'Italia, occorreva
fare non solo gli italiani, ma anche l'italiano, inteso come
lingua nazionale, scritta e parlata.
Arrigo Castellani e Tullio De Mauro hanno postulato dati
numericamente differenti rispetto alla percentuale di
analfabeti e dialettofoni nel 1861; possiamo dire, ad ogni
modo, che la nostra storia unitaria ha visto il progressivo
diffondersi della lingua italiana, favorita da numerosi
fattori: scuola, servizio militare obbligatorio, radio prima
e televisione poi. A questa penetrazione della lingua
nazionale ha fatto da contraltare, se non la paventata
"morte dei dialetti", una loro rapida evoluzione, un
mutamento di cui i primi ad essere coscienti sono proprio i
parlanti. In questo contesto, a partire dal secondo
dopoguerra, Salvatore Boniello ha avuto un duplice merito:
non solo ha combattuto l'analfabetismo attraverso
l'insegnamento e attraverso il suo ruolo nell'Unione
Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo (UNLA); si è
anche occupato di curare un possibile effetto collaterale di
questa alfabetizzazione, cioè la perdita del dialetto e
della cultura locali. Aveva capito, senza avere a
disposizione gli strumenti di un linguista di professione,
che nel repertorio di un parlante del terzo millennio c'è
posto per più varietà: lingua, dialetto e, aggiungerei io,
le lingue straniere. Ciascun idioma ha naturalmente proprie
funzioni specifiche ed è portatore di una propria cultura.
Il pericolo non è l'abbondanza, bensì l'impoverimento del
repertorio linguistico. Una ricerca del 2005 (ALL:
Adult Literacy and Life Skills)
ha messo in evidenza come solo il 20% (19,8%) degli italiani
abbia le competenze di lettoscrittura minime «per orientarsi
nella vita di una società contemporanea». Si tratta,
ovviamente, di un problema serio, che riguarda da vicino la
cultura e la considerazione che si ha della cultura nel
Paese. Un amore che Salvatore Boniello ha dimostrato e per
il quale lo stesso mondo accademico gli è riconoscente; un
amore da cui dovremmo prendere esempio, per reagire con
forza a chi ci invita, con evidente disprezzo della cultura,
a usare la Divina Commedia per farci un panino.
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il Lessico dialettale guardiese (saggio)
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