(1978) Aborto s.m.
Il dibattito intorno alla possibile legalizzazione
dell'aborto, alle sue conseguenze e ai suoi presupposti medico-sanitari
ed etici, animò il nostro paese nel corso degli anni '70; ad accenderlo
furono alcuni esponenti del Partito Radicale, attraverso clamorose
iniziative che attirarono l'attenzione dei media.
Fra gli argomenti in ballo c'era quello degli aborti clandestini, sulle
condizioni di sicurezza in cui venivano eseguiti e sulle conseguenze
per le donne che vi si sottoponevano, volontariamente o meno; ad
acuire il senso di inadeguatezza della legislazione allora vigente, che
non prevedeva alcuna condizione di ammissibilità neppure nei casi di
rischio per la vita della gestante (ma che alleviava considerevolmente
le pene per chi avesse provocato un aborto o ne avesse favorito la la
pratica «per salvare l'onore proprio o quello di un prossimo
congiunto», art. 551 del Codice Penale, abrogato), fu una sentenza
della Corte Costituzionale del 1975, che (pur ribadendo la tutela
concepito) ammetteva la pratica abortiva nei casi estremi ope legis.
Con la legge 194 del 22 maggio 1978, confermata dall'esito di due
quesiti referendari tre anni più tardi, si arriva ad una nuova (e tuttora
vigente) regolamentazione, che consente alla gestante il ricorso all'
«interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni
[...] in circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il
parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua
salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue
condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è
avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni
del concepito» (art. 4).
È interessante notare, fra i due momenti legislativi, un mutamento
lessicale evidente: nell'intero Titolo X (Dei delitti contro la integrità e
la sanità della stirpe, oggi interamente abrogato) del Libro Secondo
(Dei delitti in particolare) del Codice Penale la parola aborto compare
otto volte; nel testo della legge 194/78 (Norme per la tutela sociale
della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza) il
vocabolo è sostituito dalla locuzione interruzione (volontaria) della
gravidanza (39 occorrenze); si tratta di un calco modellato su
interruption volontaire de grossesse (acronimo: IVG, come in italiano;
DIDISI, s.v., p. 144), apparso in Francia nella cosiddetta legge Veil (dal
cognome dell'allora Ministro della Sanità) del 17
gennaio 1975; rispetto al vocabolo tradizionale, la nuova locuzione ha
il duplice vantaggio di non presentare alcuna ambiguità né
connotazione semantica (positiva o negativa), come è buona norma
per l'elemento di un vocabolario settoriale, e di sottolineare l'aspetto
fondamentale della novità legislativa: il ruolo svolto dalla volontà
della donna (i cui diritti erano oggetto dell'attenzione dei movimenti
femministi) nel processo decisionale.
Due volte, nel testo della legge 194/78 (chiamata comunemente “la
194”), appare la parola aborto, nel primo e nell'ultimo articolo (22): in
entrambi i casi ci si riferisce a circostanze in cui la pratica è illegale
(aborto come strumento per il controllo delle nascite, reato di aborto)
e dunque al di fuori del dominio dell'IVG.
Quantunque la locuzione IVG sia stata accolta con favore e sia
tuttora in uso nella terminologia giuridica e in quella medico-sanitaria,
nel linguaggio comune resiste l'uso del vocabolo tradizionale, più
sintetico e di più facile accesso: per esempio, si parla comunemente di
“legge sull'aborto” e di “referendum sull'aborto”, con riferimento agli
eventi testé ricordati.
La parola aborto è un prestito dal latino ABŎRTUM e risale alla
seconda metà del XVI secolo (LEI, I, p. 131); il primo significato con
cui il vocabolo sembra essere attestato, in italiano (1570), è quello,
oggi secondario, di «cosa mal riuscita» (GRADIT 2007); alla fine del
secolo (1593) il vocabolo appare col significato principale
«interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale» (LEI, I, p.
131); per metonimia, la parola è passata a designare anche lo stesso
feto nato morto (1698).
Ulteriori estensioni del significato hanno portato all'accezione
'persona molto brutta' o al tecnicismo della botanica «organo della
pianta che non ha sviluppo regolare» (GDLI, I, p. 51); anche la voce
verbale abortire ha subìto un'estensione semantica, acquisendo il significato
figurato di «non riuscire, andare a vuoto»(DM1).
Del dibattito che accompagnò il complesso iter della legge 194 è
testimone la proliferazione dei derivati di aborto negli ultimi 30 anni:
ad abortivo, aggettivo presente nella nostra lingua dal XIV secolo, si
affiancano abortista 'favorevole alla legalizzazione dell'aborto' (1973),
abortività (1986), abortistico (1989); abortorio (1932) 'istituto dove si
eseguisce l'aborto legale' è precedente e non sembra avere attestazioni al di
fuori di DM8, che del resto
attribuisce il referente alla Russia Sovietica.
Numerose sono le locuzioni, anche figurate, prodotte con aborto e i
suoi derivati: aborto abituale, aborto accidentale, aborto chimico o
farmacologico (quello procurato per mezzo della somministrazione di
un apposito farmaco, tema al centro del dibattito più recente), aborto
completo o incompleto, aborto criminoso, aborto epizotico
«brucellosi» (GRADIT 2007), aborto inevitabile, aborto interno (o
intrauterino o ritenuto), aborto naturale o spontaneo,
aborto
procurato, aborto selettivo, aborto settico, aborto terapeutico,
aborto tubarico; beneficio abortivo «nell'amministrazione dello stato, sgravio
o altra facilitazione che non ottiene un'equa redistribuzione del
reddito dai più ai meno abbienti» (GRADIT 2007), espulsione
abortiva (completa o incompleta), pillola abortiva, pratiche o
atti
abortivi, risparmio abortivo «risparmio tesoreggiato» (GRADIT
2007), terapia abortiva, trattamento abortivo, travaglio abortivo.
(Francesco Bianco)
[da Itabolario. L'Italia unita in 150 parole, a cura di
M. Arcangeli, Carocci, Roma, 2010, pp. 264-266]
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