(2004) Tsunami s.m. e f. inv.
Il Natale del 2004 venne funestato da
uno fra i più violenti terremoti mai registrati dai sismografi; erano le
7.59 del 26 dicembre quando, al largo dell'isola di Sumatra, il fondale
dell'Oceano Indiano tremò con un'intensità di oltre 9 gradi Richter.
Conseguenza più tragica di quel rigurgito della crosta terrestre,
avvenuto a trenta chilometri di profondità, fu una serie di altissime
ondate che si abbatterono sulle coste del Sud Est asiatico e perfino su
quelle dell'Africa Orientale. Gli effetti furono devastanti: centinaia di
migliaia di vittime, milioni di sfollati e interi tratti di costa (soprattutto
in India, Sri Lanka e Indonesia) lungo i quali le tracce della presenza
umana furono letteralmente cancellate.
Se le onde anomale provocate dai movimenti tellurici ebbero la
forza per raggiungere le coste del Kenya, a oltre 4000 chilometri di
distanza dall'epicentro del sisma, assai più ne seppe percorrere, portata
dal flusso continuo di notizie, la parola che evocava e al contempo
definiva il disastro: tsunami. Un vocabolo giapponese che significa,
letteralmente, 'onda sul porto', e che nella cronaca di quei giorni vinse
nettamente la concorrenza del nostrano maremoto. Ad avvantaggiare
tsunami fu probabilmente la sua etimologia apertamente orientale:
attraverso l'adozione di un esotismo, non solo si definiva nella
maniera più corretta un fenomeno naturale; si richiamava, altresì, una
catena di immagini, di sensazioni, di conoscenze più o meno
approssimative e stereotipe di un mondo lontano: quell'Estremo
Oriente in cui, per il lettore o lo spettatore medio, assai incerti sono i
confini naturali, etnici e culturali fra Giappone e Cina, fra Thailandia e
Indonesia.
Tsunami non era una novità lessicale: i dizionari sono concordi nel
far risalire il suo ingresso nella lingua italiana almeno al 1961 (ma la
voce è registrata già nel DEI, pubblicato negli anni '50).
C'è invece discordanza sul genere del vocabolo, specchio di
un'effettiva oscillazione nel suo uso: «È in costruzione in Cina una
rete di preallarme per le 'tsunami', i maremoti causati da scosse
sismiche lungo le coste o da eruzioni vulcaniche.» («La Stampa»,
23.9.1987); «Ci sono stati pure due uragani e un allarme per uno
tsunami.» («L'Espresso», 24.3.1995); la maggior parte dei dizionari
riporta il sostantivo come maschile, mentre DE MAURO-PARAVIA 2000
gli attribuisce il genere femminile; il Supplemento 2004 al GDLI (da
cui sono tratti gli esempi riportati in precedenza) e il GRADIT 2007
(non così il GRADIT 2000, che riporta il solo femminile) segnalano il
doppio genere.
Il rilancio del vocabolo, in seguito alla catastrofe del 2004,
sembrerebbe aver decretato una vittoria del maschile; con questo
genere, infatti, si è prodotto e fissato nell'uso il senso figurato di
'manifestazione improvvisa ed emotivamente molto coinvolgente di
un sentimento, di un impulso collettivo' (GDLI, Supplemento 2009),
con cui la parola è spesso usata dal linguaggio immaginifico del
giornalismo contemporaneo: per descrivere una prossima rivoluzione
tecnologica e culturale, si è parlato recentemente di «tsunami di
eBook-reader in arrivo da oltreoceano» («L'Espresso», 15.4.2010);
all'indomani delle ultime elezioni politiche, Silvio Buzzanca definiva
l'uscita dal parlamento della sinistra storica uno «tsunami
elettorale» («La Repubblica», 15.4.2008); sulle pagine dello stesso
giornale, pochi mesi prima che la catastrofe orientale rivelasse questo
pozzo di metafore, l'effetto sugli equilibri politici di una lettera inviata
al Presidente del Consiglio da uno dei propri alleati era stato
paragonato, piuttosto, a «un piccolo maremoto» (12.7.2004).
(Francesco Bianco)
[da Itabolario. L'Italia unita in 150 parole, a cura di
M. Arcangeli, Carocci, Roma, 2010, pp. 288-289]
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