Carne umana

L’occasione fa l’uomo ladro. Non mi sarei mai impegolato in questa situazione, se Daniela non mi ci avesse coinvolto. Era un’amica e non avrei pouto evitare di aiutarla. Si presentò a casa mia verso le sei del pomeriggio, di venerdì. Io ero rientrato da poco dal mio modesto impiego alla banca, quando suonò il citofono.
Era un po’che non ci si vedeva, Daniela ed io, a causa dei rispettivi impegni: i suoi, soprattutto; frequentava molti uomini, senza essere di nessuno. Anche quella sera aveva un appuntamento.
Ero di ottimo umore, quasi euforico, senza particolari ragioni. Le aprii e fui felice di accogliere lei e suo figlio, il piccolo, biondo e paffuto Jacopo. Mentre il piccolo prendeva possesso del salone, con l’impeto e la confidenza che hanno solo i bambini e le amanti più smaliziate, Daniela mi spiegò la situazione.
- Un altro amante, dunque…
- No, questo è diverso. Spero che possa diventare qualcosa di più. E comunque andiamo solo a cena fuori.
- Come credi… e vorresti che tenessi Jacopo per la serata?
- Mi faresti un favore enorme… i miei avevano programmato di andare al cinema e nessuna delle mie amiche è disponibile.
Acconsentii e Daniela ne fu felice. Avevo un buon rapporto con il bimbo, che premiavo ad ogni mia visita con un dolciume o un giocattolino. Daniela mi spiegò l’essenziale per la gestione di Jacopo, ricordandomi che avrebbe tenuto il cellulare acceso, per qualsiasi evenienza. La rassicurai: non ci sarebbe stato bisogno di disturbare la sua cena romantica. Mangiasse tranquilla e ponesse le basi per un nuovo fallimento.
Dopo aver richiamato a sé il piccolo, averlo salutato sussurrandogli qualcosa che mi sfuggì, Daniela uscì. Era trepidante. Jacopo riprese i suoi giochi, torturando una pallina di gomma che la madre aveva portato insieme ad altri balocchi, ed io mi sedetti in poltrona.
Guardai Jacopo: un’occasione unica.
Un colpo secco, senza pensarci due volte. Il mezzobusto di Lenin, un affare di ghisa molto pesante, gli sfondò il cranio. Il tappeto, che ne raccolse abbondantemente il sangue, era da buttare: pazienza. Spogliai il bimbo di ogni vestito e lo deposi sulla tavola di marmo, come fosse un capretto. Con un colpo di mannaia lo decapitai.
Mi ci vollero un paio d’ore e tutta l’esperienza acquisita durante l’infanzia osservando mio zio lavorare in macelleria, per disossare quell’animaletto e ricavarne il meglio: filetto, costolette, bistecchine, interiora. Partii tutto in piccole confezioni che misi a congelare. Per quella sera, la prima sera in cui avrei assaporato carne umana (il mio sogno di sempre), tenni una bistecchina.
Eccitato come un adolescente alla vigilia della sua prima esperienza sessuale, preparai il soffritto col prosciutto tritato e vi deposi un letto di porcini; lo sfrigolare dei funghi incrementava appetito e salivazione. Dopo una doverosa aggiunta di sale, pepe e prezzemolo, vi adagiai la bistecca e infornai la teglia. Una ventina di minuti, rigirando di tanto in tanto, e quel superbo piatto era sulla mia tavola. Stappai un Chianti classico riserva 2000 e affondai i denti in quella che risultò essere un’autentica leccornia. Senza alcun bisogno di essere frollata, quella carne era tenera come burro scaldato al sole, meravigliosamente impregnata di tutti gli umori e aromi dei porcini. Pezzetti di Jacopo, delicatamente croccanti all’esterno e ancora palpitanti di sangue dentro, scivolavano verso la mia gola assieme al Chianti.
Fu una cena meravigliosa, dopo la quale mi assopii.
Mi risvegliò il campanello. Fine dei giochi: Daniela era ritornata. Quell’esperienza stava per chiudersi in un modo drammatico, ma ne era valsa la pena. Le andai ad aprire: malcelava un sorriso indicativo sull’esito della serata.
- Bè? Com’è andata la cena?
- Non posso lamentarmi. E voi? Jacopo? È stato buono?
Sorrisi, passandomi impercettibilmente la lingua fra le labbra:
- Ottimo.

[Le Petit Poucet, illustré par Gustave Doré]