Il mio
funerale
Io lo so che morirò. Con la sua luce diffusa
e accecante, il sole vorrebbe ingannarmi. Batte sulle
parteti bianche dell’ala sud della clinica, rimbalza
attraverso il cortile e inonda la mia stanza, ma non
m’inganna. Sentivo la morte addosso e da una settimana, per
grazia di un medico pietoso, so che sto per morire. Di una
strana malattia, dal nome terribile e difficile da
ricordare.
All’inizio non l’ho presa bene. Quantunque avessi spesso
desiderato e anche sognato vite migliori, quest’esistenza
non mi dispiaceva. Inoltre, la prospettiva di dovermene
separare la rendeva ancora più appetibile, come l’ultimo
boccone di un piatto che si sta finendo di gustare. Ho
pianto, ho sbraitato, ho protestato, ho minacciato reclami e
perfino millantato conoscenze altolocate, per ottenere un
rinvio. Alla fine mi sono rassegnato.
Così, abbandonata ogni speranza, sto trascorrendo gli ultimi
giorni che mi restano ad organizzare il funerale. Non è una
cosa che richieda poco lavoro: considerate, solitamente, il
tempo che richiedono l’allestimento di una cerimonia nuziale
e i relativi festeggiamenti; ci si comincia a pensare, in
due, già svariati mesi prima; ci si impiegano le forze
migliori, quelle di un’entusiastica giovinezza ricca di
prospettive; io devo far tutto da solo, senza potermi
muovere da questa stanza d’ospedale e senza il vigore di una
persona sana; quanto a tempo, poi, non è che ne abbia
moltissimo: questione di settimane, un mese e mezzo al
massimo, e la cerimonia non potrà più essere procrastinata.
L’idea di un allestimento abborracciato e approssimativo mi
fa aggricciare le carni. Una brutta figura al mio funerale?
Potrei morirne.
Il funerale non ammette repliche, il matrimonio sì; se avete
soldi e forza di volontà, in una vita potrete trascorrere
svariate lune di miele; ma di tumulazione, che io sappia, ce
nè una sola. Capirete, perciò, la mia ansia, le mie
preoccupazioni e le mie difficoltà.
Ad essere sincero, avevo anche provato a chiedere aiuto.
Alla mia fidanzata, innanzi tutto, poi ai miei genitori;
infine a mio fratello, quantunque non si sia andati spesso
d’accordo, in questa vita. Nessuno ha voluto aiutarmi. Hanno
definito macabre e fuori luogo le mie richieste, con
espressioni a metà fra lo stupore, l’indignazione e il
disgusto. Inutile spiegare le mie ragioni, di come da una
vita decorosa occorra congedarsi con altrettanto decoro. Di
come, se è vero che la prima impressione che si da di sé è
determinante, l’ultima non è da meno. Se consideriamo che,
quando venni al mondo, ero violaceo, sovrappeso, totalmente
calvo e tutto impiastricciato di liquido amniotico – oltre
che piangente -, per compensare una così poco edificante
immagine occorrono esequie impeccabili.
Il tempo è tiranno e ho ritenuto opportuno, piuttosto che
sprecarlo in inutili tentativi di persuasione, arrangiarmi
da solo. Per fortuna che esistono le carte di credito e
internet. Ho preso contatti con una nota agenzia di pompe
funebri; sul catalogo online ho scelto una bara confortevole
ed elegante, senza eccessi. Domani o dompodomani verrà il
sarto col quale concorderò un vestito che non mi farà
sfigurare nella camera ardente. Considerati la mia
predisposizione al sudore e lo scarso ricambio d’aria
all’interno della cassa, ho pensato a un fresco abito di
lino.
Non ostante le difficoltà, tutto sembra procedere: un
capolavoro di vede dai particolari i quali, nel caso
specifico, sono moltissimi. Sarà un funerale memorabile e il
mio unico rammarico, a pensarci bene, è che non vedrò nulla.
Del concerto jazz che farà da sottofondo musicale alla
cerimonia, attraverso la saldatura della cassa, non arriverà
che una torbida eco.
Un altro problema sarà quello degli invitati. Forse dovrei
discuterne con mia madre. È laggiù che confabula con uno
dell’equipe medica che mi tiene sotto osservazione...
- Dottore, c’è qualche speranza che guarisca?
- Più passano i mesi e più ne dubito. L’ipocondria di
suo figlio peggiora giorno dopo giorno. |
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