L'assedio
Bene. Finalmente solo. Non si
sente più alcun rumore, al di qua dei doppi vetri. Sono
solo, nella mia stanza, nell’appartamento dove ho abitato
per trenta anni e più. Quello in cui sono nato e dove ho
vissuto fino ad oggi. Con gli occhi chiusi e le gambe
sollevate lungo la parete, la schiena appoggiata sul caldo
parquet, godo di una tranquillità insolita. La città,
immagino (e potrei agevolmente verificarlo, allungando lo
sguardo sul viale), prosegue frenetica la sua vita, scandita
da sussulti, singhiozzi, snervanti aritmie. Non ne potevo
semplicemente più. Dei rumori, intendo.
Ogni santa mattina, al levarsi
del sole (sopra le cime degli edifici di città: un’insolita
e ritardata alba metropolitana), un cigolio smorzato dal
soffitto mi dava il risveglio. Quella vacca che abitava
sopra di me, a quarant’anni suonati, provava a rinvigorire
il suo corpo cadente a colpi di cyclette. Non era che il
quotidiano battesimo, la prima nota di un concerto tanto
sgradevole quanto conosciuto. Che cosa avevano da
starnazzare là fuori? Marmitte impazzite, clacson furiosi,
talvolta l’assolo di una sgommata o il crash metallico di un
incidente. Senza melodia, senza armonia, senza alcun
rispetto, i soliti rumori s’insinuavano attraverso
l’apparato acustico nel mio cervello. Se ne impadronivano e
non lo abbandonavano più.
Non si poteva evitarli.
Coprivano il canto dei pochi uccelli sopravvissuti al
progresso, l’abbaiare dei cani, i gorgheggi del vento
attraverso le fronde dei platani. Era l’uomo, bastardo e
onnivoro, che rovinava tutto. Ma non sono tutti così.
Rifiuto di crederlo. Io, per esempio, sono profondamente
diverso. Mi muovo a piedi, tanto per cominciare, perché
trovo l’automobile sistematicamente bloccata da un paio di
vetture parcheggiate indebitamente. Sono quei prepotenti che
lavorano nell’agenzia di assicurazioni che ha sede al
pianterreno: c’invadono il parcheggio interno, seguiti a
ruota dai clienti. Sulle prime provavo a cercare il
responsabile di turno; il quale, per nulla indispettito,
spostava l’auto e mi lasciava partire, ripetendosi a
distanza di due o tre giorni nella medesima sosta selvaggia.
Avevo rinunciato: i miei
spostamenti li facevo a piedi, tra i fiumi di auto e le
scolaresche vocianti, gli ambulanti al mercato, i questuanti
dialettofoni alle fermate del metrò. Camminavo svelto e
viscido fra i tentacoli della città, cercando inutilmente di
sfuggire al suo frastuono. Avevo anche provato i trasporti
pubblici. Ma come potevo resistere ai pensionati?
Imperterriti, abitudinari, popolavano gli autobus e ti
attaccavano bottone, che tu fossi allegro o triste,
assonnato o sveglio; ti vomitavano addosso i soliti luoghi
comuni, di come la gente non fosse più quella di un tempo e
come il degrado ambientale avesse reso invivibile la
metropoli e l’inquinamento e gli autobus che si rompono e
vaffanculo a tutti.
E poi… ho trovato la
soluzione. L’ ho trovata questa mattina, al solito
risveglio. Non ho inveito, come mi capita sempre. Mi sono
diretto nel bagno, ho sciacquato la faccia e mi sono
sbarbato. Ho indossato i vestiti di ieri e sono andato a
prendere il fucile di mio nonno. Era un fucile da caccia di
cui conservavamo ancora una buona scorta di proiettili. L’
ho caricato e l’ ho fatta finita.
Ha aperto dopo circa due
minuti, la vigliacca. Le avevo interrotto la cosmesi, che
maleducato che ero! Mi ha guardato così, fra il sorpreso,
l’infastidito e l’imbarazzato. Immaginatevela un attimo
dopo, col ventre sfondato dal colpo di una vecchia doppietta
ancora in ottimo stato…
Grazie nonno. Niente più
cyclette. Sognavo una vita senza frastuono e quello era
l’inizio. Li avrei ammazzati tutti, uno dopo l’altro, gli
assassini del silenzio. L’automobilista che infrange a
duecento all’ora il sonno notturno, l’arrotino che citofona
pubblicizzando le proprie prestazioni, i testimoni di Geova…
tutti. Li ucciderò tutti. Per ora ho cominciato da lei, la
vacca quarantenne. Ma è solo l’inizio. Sporco ancora di
sangue ma col cuore leggero mi sono rintanato in casa. Ho
serrato tutte le finestre, ho sbarrato la porta d’ingresso e
mi sono seduto su una poltrona. Così si sta bene. Si può
leggere un buon libro, ascoltare della musica classica o
lasciarsi andare ai propri pensieri. Sono qui, col fucile
accanto e la scatola con le munizioni. Verranno a prendermi,
lo so, non appena scopriranno il cadavere dell’inquilina del
terzo piano.
Mi odiano. E mi assedieranno.
Vorranno disarmarmi, vorranno umiliarmi.
Li sto aspettando. |
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