Leon Battista Alberti
(1404-1472), figlio illegittimo di un appartenente
alla ricca e potente famiglia fiorentina degli
Alberti, ha una vita piuttosto difficile, non
essendo pienamente accettato dalla famiglia. Vive in
vari luoghi e svolge varie professioni, ma rimane
legato soprattutto alla curia papale di Roma. Le sue
esperienze lo portano a sviluppare uno sguardo
scettico e sarcastico sulla realtà, che si
riflette soprattutto in una grande collezione di
dialoghi e di brevi racconti intitolata
Intercenales (testi che dovevano essere letti o
raccontati durante la cena). Gli argomenti sono
molto vari, ma tutti, più o meno, criticano i
vizi e le illusioni della società umana. Il
grande modello letterario di Alberti è Luciano di
Samosata, scrittore satirico greco del II secolo
dopo Cristo, il quale era stato un maestro
insuperabile di sarcasmo, irrisione e fantasia senza
limiti. Alberti, tramite le sue storie, critica
l’ipocrisia, l’avarizia, deplora la mancanza di
virtù nel mondo, addirittura mette in dubbio e in
ridicolo alcune pratiche fondamentali della società,
come i riti religiosi e le preghiere.
Anche se Alberti scrive quasi tutte
le sue opere in latino (trattati, dialoghi, un
romanzo
mitologico), è un grande sostenitore del volgare. In
volgare scrive la sua opera più conosciuta, un vasto
dialogo intitolato Libri della famiglia.
Quest’opera è un ricordo nostalgico di quando suo
padre era vivo e di quando lui stesso poteva far
parte della famiglia degli Alberti (dopo la morte
del padre i parenti l’avevano infatti cacciato).
Nel dialogo appaiono vari membri della famiglia, che
parlano di argomenti riguardanti la vita
familiare, l’educazione dei figli, il
matrimonio, gli affari e la gestione delle
ricchezze, il buon uso dell’animo, del corpo e del
tempo. L’ultimo libro, il quarto, è dedicato alla
lode dell’amicizia, intesa come legame
fondamentale tra i membri della società. I
Libri della famiglia si ricollegano a una
tradizione centenaria di scritti privati che i capi
delle famiglie mercantili lasciavano ai figli e che
contenevano consigli e annotazioni sulla famiglia e
sulla mercatura. Il dialogo di Alberti, ovviamente,
si trova a un livello molto più alto di
elaborazione letteraria e filosofica. È un esempio
molto particolare di Umanesimo italiano, in quanto è
scritto in
volgare e
dedicato ai temi pratici.
Anche dal punto di vista ideologico
Alberti è molto originale e va controcorrente.
Considera la famiglia la più importante istituzione
umana, un nucleo che deve essere fondato sull’amore
e sulla collaborazione, mentre la società e la vita
politica vengono guardati con sospetto e
scetticismo. Mostra inoltre come vivere con
saggezza, moderazione, con animo sereno e con onore.
Come altri umanisti fiorentini, anche Alberti elogia
la ricchezza, che è frutto dell’attività prosperosa
e segno della capacità di incidere nella realtà.
Alberti traduce alcuni testi greci
(per es. di Luciano) ed è anche autore di una
curiosa opera intitolata Momus sive De
principe (“Momo ossia Del principe”),
ispirata anch’essa a Luciano. È uno strano e vasto
romanzo allegorico,
che ha come protagonista il perfido dio Momo, che
porta rivolte e confusioni nella gerarchia divina
dell’Olimpo. Il romanzo è molto complicato e non
sono del tutto comprensibili le sue allusioni o una
possibile interpretazione allegorica. Tuttavia si
può dire che, contro l’opinione di altri pensatori
umanistici e rinascimentali, esso rappresenta il
mondo come caotico, pieno di illusioni e di
tradimenti, senza la buona guida degli dei o dei
prìncipi. L’opera è storicamente importante per la
sua forma irregolare (simile al moderno romanzo) e
perché è una delle pochissime opere umanistiche di
narrativa.
Oltre agli interessi letterari, Leon
Battista Alberti nutre anche interesse per le
scienze naturali, l’archeologia, la linguistica e le
arti. Insieme a Filippo Brunelleschi è il più
importante architetto del primo Rinascimento.
Studia attentamente i resti architettonici a Roma
e, secondo il modello antico, costruisce edifici che
sono diventati i capolavori più puri del
Rinascimento (per es. la chiesa di Sant’Andrea a
Mantova o il Tempio Malatestiano a Rimini).
Alberti è quindi la migliore personificazione di
quello chi si suole chiamare “l’uomo
rinascimentale”, cioè un talento universale. Alberti
non è solo architetto “pratico”, ma scrive anche
trattati di architettura, scultura e pittura. È
ideatore di una teoria dell’arte che può essere
considerata come un manifesto dell’arte
rinascimentale:
▪ alla base dell’arte sta
l’imitazione della natura; l’uomo deve aggiungervi
solo la bellezza;
▪ per creare e costruire opere
artistiche sono necessarie sia la perizia tecnica
sia la conoscenza delle lettere;
▪ le opere architettoniche devono
essere basate su utilitas e venustas
(funzionalità e bellezza).
Poggio Bracciolini
(1380-1459), toscano, contribuisce allo sviluppo
dell’Umanesimo con fondamentali scoperte di
codici contenenti testi classici sconosciuti nel
Medioevo (orazioni di Cicerone, poemi di Lucrezio e
di Stazio) e con la creazione della grafia
umanistica (più elegante e leggibile). Come
segretario apostolico del papa, Bracciolini
viaggia molto, conosce illustri personaggi di tutta
l’Europa e partecipa a eventi importantissimi, come
il concilio di Costanza, in occasione del quale
assiste al martirio di Girolamo di Praga,
seguace di Jan Hus, che dipinge come un eroe in una
famosa lettera. Per alcuni anni Bracciolini occupa
il posto di cancelliere di Firenze e sostiene la
politica dei Medici. Ha lasciato traduzioni dal
greco, vari scritti e dialoghi polemici, opere
storiografiche. Più importante di tutto il resto,
tuttavia, è il suo vastissimo
epistolario*,
ricco di temi e di stili diversi, che mostra il
carattere di Bracciolini, incline al godimento della
vita, alla fama e all’affermazione personale;
spiccano il suo spirito polemico e creativo,
l’insofferenza per le ipocrisie, soprattutto dei
chierici, e per le pedanterie degli eruditi
(violenta è la disputa con Lorenzo Valla sulla
lingua latina). L’opera più diffusa (quella di cui
circolava il numero più grande di manoscritti) di
Bracciolini è comunque una raccolta di facezie
(brevi novelle, aneddoti) intitolata Liber
facetiarum, fondata su una bassa comicità
corporale e oscena.
Un altro fiorente centro
dell’Umanesimo si trova a Napoli. Napoli era
un importante centro di cultura già attorno alla
prima della metà del Trecento, sotto i re angioini;
era poi decaduto per l’instabilità politica e le
violenze. Un secolo dopo, negli anni Trenta del
Quattrocento, gli Aragonesi favoriscono il
ritorno della prosperità culturale: soprattutto
Alfonso V il Magnanimo, un appassionato mecenate,
chiama molti letterati e artisti per dare splendore
alla sua corte.
Lorenzo Valla
(1405/1407-1457), di origine romana, vive e insegna
in diversi luoghi, ma è attivo soprattutto a
Napoli, al servizio del re Alfonso d’Aragona.
L’ultimo decennio della sua vita, invece, lo
trascorre a Roma, presso la
corte papale. Si
distingue come il più grande conoscitore della
lingua e della filologia latina e potrebbe essere
considerato il padre della filologia moderna. È il
più ortodosso e pedante sostenitore del latino
classico. Inoltre scrive un influentissimo
manuale di lingua e stile, Elegantiarum
linguae latinae libri sex (Sei libri di
eleganze della lingua latina): in quest’opera Valla
cerca modelli nel latino dell’età repubblicana e
imperiale e riporta esempi da seguire e da evitare
(latino tardoantico, medievale, anche di molti
contemporanei). Valla svolge importanti ricerche
filologiche sul testo di Tito Livio e sul Nuovo
Testamento. Scrive anche trattati di filosofia e si
avvicina alle posizioni epicuree (che rivalutano i
piaceri dei sensi).
Ha uno spirito militante e vivace;
spesso partecipa alle polemiche e alle battaglie
ideologiche del tempo. Il suo testo più famoso è uno
scritto filologico-politico, De falso credita
et ementita Constantini donatione (La
Donazione di Costantino, falsamente ritenuta vera e
ora confutata), scritto a Napoli per sostenere il
re Alfonso d’Aragona contro la rivolta dei baroni
favorita dal papa. La Donazione di Costantino
era un importantissimo documento in cui si leggeva
che l’imperatore romano Costantino il Grande
(280-337) garantiva ai pontefici romani vasti
privilegi e di fatto li nominava eredi dei
possedimenti dell’imperatore. Su questo documento la
Chiesa cattolica basava la legittimità dello Stato
Pontificio, del governo temporale e della
superiorità del papato sull’impero. Già prima di
Valla c’erano stati dubbi sull’autenticità del
documento, ma nessuno aveva osato dichiararlo
apertamente falso, dimostrandolo con gli strumenti
della filologia.
Giovanni Pontano (1429-1503) è
il massimo rappresentante del vivace Umanesimo
napoletano. È anche un importante statista,
in quanto primo ministro di alcuni re aragonesi: di
fatto è il vero governatore del regno. A seguito
degli sconvolgimenti provocati dalla discesa di
Carlo VIII fugge e non torna più al governo neanche
dopo il ritorno degli Aragonesi. Dedica gli ultimi
anni di vita allo studio, alla letteratura e alle
attività dell’accademia denominata poi (in suo
onore) Accademia Pontaniana.
Pontano è un politico estremamente
capace. Agisce con spregiudicato pragmatismo,
con abilità diplomatica e con mano ferrea. La
carriera politica non gli impedisce, comunque, di
acquisire un’ampia cultura filosofica e letteraria
né di raggiungere forse i più raffinati
risultati letterari tra quelli degli umanisti
italiani. Scrive (esclusivamente in latino) trattati
di filosofia morale, di retorica, astronomia e
astrologia, agronomia, mitologia, ma i suoi
capolavori sono i dialoghi e le poesie latine. È
autore di quattro dialoghi intitolati con
nomi di persona: Charon,
Antonius, Actius e
Aegidius. Sono scritti in un latino molto
naturale e vivace, con sarcasmo e con un
razionalismo critico che si oppone alle follie della
società. Si ispira molto allo scrittore greco
Luciano di Samosata, autore di dialoghi satirici
scritti in tono molto cinico, sarcastico, che non si
ferma davanti a nessuna autorità laica o religiosa.
Pontano ha una grande capacità di
descrizione realistica, ma non trascura neppure
situazioni pittoresche e bizzarre. Nei dialoghi
appaiono persone e luoghi reali della vita
napoletana. Pontano sa dare un tono autentico alle
battute dei personaggi e in alcuni punti la sua
scrittura si avvicina quasi a quella di un testo
teatrale. Concentriamo la nostra attenzione almeno
sul Charon (Caronte), che riprende il
modello lucianesco dei dialoghi ambientati negli
Inferi. Pontano racconta una serie di scene in
cui appaiono le divinità e le anime dei morti che
aspettano sulla riva di Acheronte di essere portate
dall’altra parte da Caronte, con la sua barca.
Pontano fa vedere come follia, arroganza,
stupidità, autoinganno non abbandonino le
persone neanche dopo la morte e come invece Caronte,
originariamente un uomo rozzo, grazie all’aiuto
delle anime degli uomini dotti e grazie allo
spettacolo delle anime delle persone stupide, sia
diventato saggio. La varietà di anime, di personaggi
e di situazioni, tutta insieme, dà un’immagine
sconsolata della società umana, dove la sapienza e
la virtù non trovano apprezzamento durante la vita
terrena.
Pontano è anche il più raffinato
autore di
lirica
amorosa in latino. I suoi versi non fanno parte
di un progetto ben calcolato (come per es. i
Fragmenta di Petrarca), ma sono frutto di
un’ispirazione momentanea. Raggiunge
un’incomparabile eleganza e virtuosismo formale (una
perfetta padronanza dei metri della poesia latina);
ciononostante, riesce a creare immagini di grande
sensualità e raffinatezza: lo si vede nella
sua raccolta Amorum libri (Libri degli
amori). Ancora più originale, almeno per la
tematica, è un’altra raccolta, De amore
coniugali libri (Libri dell’amore
coniugale), in cui Pontano esprime il suo amore
verso la famiglia. Sono versi ispirati da affetti
domestici, dall’amore tenero per i figli (la
raccolta comprende anche alcune ninne-nanne scritte
per loro), da sentimenti dolorosi per la morte di
alcuni di loro. Se Pontano avesse scritto questi
versi in
volgare, sarebbe
certamente considerato uno dei grandi classici della
poesia italiana.