Gli umanisti, nei loro scritti, usano
quasi esclusivamente il latino. Soltanto Leon
Battista Alberti e Angelo Poliziano si servono anche
del volgare. Il latino è sentito come una lingua
perfetta ed eterna, che rappresenta anche un legame
tra gli autori e l’amata civiltà classica.
La letteratura degli umanisti, per la
maggior parte, non è una letteratura d’invenzione
(poesia e narrativa). Si tratta prevalentemente di
trattati, dialoghi, invettive, lettere. Mentre i
primi umanisti trecenteschi, come Francesco Petrarca
e Albertino Mussato, scrivono sia opere erudite sia
poesia, negli umanisti quattro- e cinquecenteschi
questa è un’eccezione (se parliamo di alto livello
letterario) che riguarda solo Angelo Poliziano (che
scrive testi eruditi in latino e poesia
lirica in volgare)
e Jacopo Pontano, che usa solo il latino, ma che
oltre alle opere erudite scrive anche vivaci
dialoghi letterari e ottime poesie latine. I cento
anni che corrono dalla morte di Petrarca (1374)
saranno definiti “un secolo senza poesia” (Benedetto
Croce), sia perché, appunto, manca una grande
personalità letteraria, sia perché gli umanisti si
concentrano nel creare un nuovo sapere,
nell’attualizzare il pensiero antico, nel rispondere
come eruditi ai problemi della società, cercando
meno di dar vita a una letteratura d’invenzione.
Gli interessi eruditi degli
umanisti sono vasti: lingua e letteratura classica,
retorica, traduzione, filologia, filosofia morale,
storia, politologia, giurisprudenza, mitologia,
archeologia, antiquariato. Il ruolo storico
dell’Umanesimo è immenso, perché ha permesso di
salvare e attualizzare la cultura classica, senza
cui non ci sarebbero stati né il Rinascimento né la
modernità. D’altro canto, all’Umanesimo si imputa
giustamente il fatto che la maggior parte dei suoi
esponenti non supera il concetto di imitazione: gli
umanisti sono prevalentemente epigoni degli
antichi e quindi l’Umanesimo, tutto sommato, ha
portato pochissime novità rispetto all’antichità.
La capitale dell’Umanesimo è
Firenze, che già nel Trecento era la città più
erudita d’Italia. Direttamente a capo della
cancelleria del comune fiorentino si trova una serie
di umanisti che sostengono i valori dell’oligarchia
mercantile fiorentina: il più importante tra loro è
Leonardo Bruni (1370-1444). Questi umanisti
inventano l’espressione “Florentina libertas”
(la libertà fiorentina), volendo rappresentare
Firenze come una città libera, in opposizione ad
altre realtà italiane, subordinate ai tiranni (così
chiamavano, per es., i Visconti, signori di
Milano). Per dimostrare la libertà e la superiorità
della repubblica, gli umanisti sfruttano esempi
della Roma repubblicana letti nelle storie di Tito
Livio. Già nel Trecento il comune fiorentino elabora
l’idea che Firenze sia erede della Roma repubblicana
e della sua virtù. Leonardo Bruni è anche un ottimo
grecista: fa traduzioni di grande importanza, come
quelle di Aristotele e Platone, e scrive una storia
di Firenze in greco. Inoltre scrive trattati di
etica e di educazione. È l’autore del primo dialogo
umanistico, Dialogi ad Petrum Paulum Histrum
(“Dialoghi dedicati a Pietro Paolo Vergerio”):
all’inizio si discute di temi storici (fino a che
punto Cesare sia stato un tiranno e Bruto sia stato
un difensore della libertà repubblicana), ma più
importante è il dibattito sul valore e sul ruolo
delle “tre corone” (Dante,
Petrarca,
Boccaccio)
per la storia di letteratura.
Il dialogo diviene poi una
delle forme letterarie più usate dagli umanisti,
perché permette di dimostrare le loro competenze
retoriche (dovendo inventare argomenti pro e contro
varie tesi) e perché consente di mettere in scena i
protagonisti stessi della cultura del tempo, con i
loro colloqui eruditi (di regola i personaggi che
parlano nei dialoghi sono umanisti reali, amici
dell’autore).
Alcuni famosi umanisti della prima
metà del Quattrocento vivono e lavorano tra
Firenze e Roma. Roma diventa infatti un altro
grande centro dell’Umanesimo grazie ad alcuni papi
che impiegano gli umanisti nell’apparato burocratico
della
curia papale e
trovano diletto nei loro studi eruditi.
Puria Pio II (Enea
Silvio Piccolomini) è lui stesso umanista e
autore di dialoghi, lettere, una
commedia latina e
un racconto d’amore. Alcuni papi provengono dalla
famiglia Medici, che ha preso il potere a Firenze,
e ciò aiuta lo scambio culturale tra le due città.