Petrarca è considerato il padre della
moderna poesia lirica anche negli aspetti
linguistici e stilistici. Spesso viene messo a
confronto con Dante. Nell’opera di Dante la critica
letteraria ha visto un “plurilinguismo”
(Dante, giocando con molti stili, esplora l’uso di
tutte le possibilità linguistiche); per Petrarca si
parla invece di “monolinguismo” (la scelta di
un solo livello stilistico). Dante è più espressivo,
riesce a suscitare forti sensazioni nel lettore,
mentre Petrarca provoca piuttosto un piacere
estetico, evita le espressioni forti e basa la sua
arte sulle sfumature e sul suono del verso e della
rima.
In realtà anche Petrarca usa
materiale linguistico vario: parole provenzali,
tutta la tradizione poetica italiana, latinismi,
gallicismi, neologismi da lui stesso inventati. Usa
anche parole aspre e non comuni, spesso in rima, per
suscitare una sensazione di rarità. Ma
neutralizza e controbilancia tutti gli elementi
espressivi e rari con un tono medio. Questo è
visibile non solo a livello fonico (con il
frequente uso delle allitterazioni) ma anche a
livello di significato: per es., nel frequente uso
dell’ossimoro, che plasma immagini contrastanti in
un insieme armonico, come in questa sequenza: “Dolci
ire, dolci sdegni e dolci paci, / dolce mal, dolce
affanno e dolce peso”, ecc. (RVF 205). Il
poeta vuole evitare parole troppo concrete e
specializzate (come invece amavano gli stilnovisti)
e ha la tendenza a preferire parole generali, le
quali possono ogni volta assumere un particolare
significato o sfumatura (bello, amore,
core, dolce, tempo, vita,
morte, ecc.).
Lo scopo di Petrarca è costruire un
verso di ritmo piacevole ed equilibrato, un
linguaggio senza estremi, quanto più sonoro
possibile. Ha anche una visione teorica che
esplicita in una lettera a Boccaccio: come le api
usano il nettare di vari fiori e poi creano una
nuova sostanza ancora più dolce, il miele, anche lui
vuole usare elementi linguistici di varia
provenienza per creare un nuovo stile, ancora più
bello.