Nello studio degli scritti antichi
gli umanisti incontrano perň tre grandi ostacoli. Il
primo consiste nel fatto che circola solo un numero
limitato di opere; altre sono rare o del tutto
introvabili. Gli umanisti, quindi, sfruttano ogni
occasione per visitare le biblioteche dei monasteri,
delle chiese e delle scuole ecclesiastiche per
cercare manoscritti rari. Nel giro di cent’anni,
dalla metŕ del Trecento alla metŕ del Quattrocento,
gli umanisti ritrovano un numero impressionante di
testi antichi fino ad allora sconosciuti. La loro
ricerca salva opere che altrimenti avrebbero potuto
essere perse per sempre. Quello che gli umanisti
hanno scoperto rappresenta piů o meno il patrimonio
della letteratura antica che abbiamo oggi. Solo
pochi testi classici importanti saranno scoperti dal
Cinquecento in poi.
Il secondo ostacolo č lo stato dei
testi. Molti manoscritti sono danneggiati o poco
leggibili, oppure hanno delle lacune (pezzi di testo
mancanti). I testi si sono inoltre corrotti in
seguito alle errate trascrizioni. Gli umanisti,
quindi, devono leggere i testi attentamente,
emendare (correggere) gli errori identificabili a
prima vista, cercare di correggere alla meglio i
passi incomprensibili, in base alla propria
esperienza, alla propria erudizione e alla propria
speculazione (correzioni per congettura). Quando č
possibile, gli umanisti cercano piů esemplari dello
stesso testo e li confrontano tra di loro per
scegliere le soluzioni migliori. Da questo sforzo
nasceranno le basi della
filologia moderna,
cioč la ricostruzione testuale. Le prime fasi
dell’Umanesimo, in pratica, non sono altro che gli
esordi della
filologia. Uno dei
testi su cui si esercitano filologicamente i
migliori umanisti sono le storie della Roma
repubblicana di
Tito Livio. I singoli capitoli (deche)
erano dispersi e rari. Grazie allo studio e al
lavoro di grandi umanisti come
Francesco Petrarca e
Lorenzo Valla, buona parte delle storie viene
ricostruita.